Non è infrequente e, tantomeno, “discriminatorio” etichettare e descrivere una persona in base alla propria fede calcistica. È bene capire che parlare di questo sport evidenziandone solo ed esclusivamente gli aspetti, per così dire, “sporchi” non può essere considerato un atteggiamento maturo. C’è ancora, per fortuna, chi crede fermamente nella bellezza, nelle emozioni e nella magia che soltanto i colori e le filosofie di vita delle nostre squadre ci sanno regalare. Così la pensava anche Michele, grandissimo uomo e, tra le tante cose, anche grandissimo tifoso del Napoli.
A tal proposito, mi piacerebbe raccontare un episodio divertente e, allo stesso tempo, significativo, che riguarda, nella fattispecie, me e il caro Michele. Tutti quelli che a Sant’Andrea (e non solo) mi conoscono sono perfettamente a conoscenza del mio amore per i colori bianconeri della Juventus e, dunque, anche quel gigante buono, grandissimo amico di mio padre non poté sfuggire a questa “scomoda” notizia. Ero ancora abbastamza piccolo quando Napoli e Juventus si affrontarono in un turno eliminatorio di Coppa Italia, in pieno agosto. La Juventus era appena scesa in Serie B e già questo era bastato per scatenare l’entusiasmo di buona parte della popolazione santandreana, estremamente avvezza a riservare sfottò di ogni tipo e parole tutt’altro che al miele all’intero mondo juventino.
Ciò che accadde dopo quella partita (che, per la cronaca, vide esultare i partenopei ai calci di rigore) mi fu, in parte, anticipato dai racconti di un caro cugino di papà, omonimo del tifoso napoletano del quale sto parlando. È usanza campana, infatti, omaggiare la sconfitta degli acerrimi avversari regalando un limone allo sfortunato perdente; quanto accadde a Linuccio, però, fu molto più “aspro”: un corposo numero di napoletani lo aspettò in fila con un limone in mano, rendendo davvero indigeribile quella sconfitta della Juventus.
Ecco, la mattina successiva a quel Napoli-Juve di coppa, Michele scese dalla scalinata antistante la macelleria vicino casa sua e si diresse verso me e mio padre con il famoso limone in mano. Perdere contro il Napoli, da quel momento, mi ha fatto sempre pensare a Michele e, diciamola tutta, non mi ha fatto innervosire e intristire più di tanto. Grazie alla sua simpatia, “zio Petete” era in grado di rendere più leggero qualsiasi momento, senza mai esagerare e senza mai mancare di rispetto al suo interlocutore. Poco tempo dopo, ho anche avuto l’onore di esser definito l’unico juventino degno della sua stima… e non è cosa da poco! C’è poco da fare: da quando Michele se n’è andato, le nostre estati santandreane non sono più le stesse.
Ci mancano troppo la sua allegria genuina, la sua cultura, i suoi dialoghi con papà, interminabili e pieni di un significato che solo il dio dell’amicizia può capire fino in fondo, ci mancano i suoi scacchi e i suoi commenti allo scoppiettante calciomercato del Napoli; non sono certo il primo a definirlo una persona meravigliosa, perché per farsi un’idea del professor Iannicelli basta pensare all’immagine della chiesa madre di Sant’Andrea, colma di gente durante il giorno del suo (mi fa ancora un po’ strano dirlo) funerale. Arrivederci, Michele: è stato veramente prezioso conoscerti.
Angelo G. Abbruzzese